INTRODUZIONE - Torchwood

Torchwood è uno spin-off della serie di fantacenza britannica Doctor Who. Ad oggi ne sono state prodotte due serie, nel 2007 e nel 2008 rispettivamente. La terza serie è in produzione e sarà costituita da soli 5 episodi. Per la quarta si sà che dovrebbere essere prodotta e avrà lunghezza normale (13 episodi).

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SINOSSI

Il progetto si sviluppa su cinque capitoli, le cui linee principali son già definite. Ecco qui una breve presentazione di ciascun capitolo, con i link per i post completi.

venerdì 26 settembre 2008

INTRODUZIONE - TORCHWOOD

Torchwood è uno spin-off della serie di fantacenza britannica Doctor Who. Ad oggi ne sono state prodotte due serie, nel 2007 e nel 2008 rispettivamente. La terza serie è in produzione e sarà costituita da soli 5 episodi. Per la quarta si sà che dovrebbere essere prodotta e avrà lunghezza normale (13 episodi).

La serie narra le avventure del Torchwood Institute, un'agenzia al di fuori del controllo del governo, fondata da sua maestà la regina Vittoria per combattere il Dottore e le altre Fantasmagorie che minacciano l'impero.
Esistono 4 sedi:

  • Torchwood1 - Londra, distrutto dai cybermen nell'episodio Doomsday, l'ultimo della seconda serie del nuovo Doctor Who
  • Torchwood2- Glasgow
  • Torchwood3- Cardiff, è quello dove è ambientata la serie. E' costruito sulla spaccatura spazio-temposrale che attraversa la città.
  • torchwood4- localizzazione sconosciuta.
I membri della squadra sono rimasti fissi nelle due stagioni e sono:
Purtroppo, alla fine della seconda serie, dove è ambientata la fanfic, Tosh e Owen sono morti.
Alla fine della quarta sera del Dottore, Martha Jones (medico ed ex companion del dottore nella terza stagione) e Mickey Smith (ex-fidanzato di Rose), sono invitati da Jack ad unirsi al team.
Questa è la situazione in cui si inserisce la storia raccontata in questo sito.

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SINOSSI

I 5 capitoli su cui si sviluppa il progetto.

CAPITOLO1 - Agatha

Ianto sta rincasando, quando si imbatte in una misteriosa ragazzina che chiede ospitalità e lui se la porta in casa. La ragazza non ricorda assolutamente nulla, se non le ultime due settimane passate per strada. Inoltre ha un tatuaggio sul polso destro che a volte si illumina.
La mattina seguente Ianto non va a lavorare e si dedica alla ragazzina, che deciderà di chiamarsi Agatha. La strana convivenza dura ancora qualche giorno, all'insaputa degli altri membri i Trochwood. Proprio la sera in cui Ianto si era risoluto a presentarla a lavoro, Jack si presenta a casa sua al posto del ragazzo delle pizze, ma non sembra entusiasta della sorpresa.
La mattina seguente Ianto mette tutte le carte in tavola e spiga a Jack del tatuaggio.

Torchwood scopre lei e lei scopre Torchwood: Gwen fa l'amica, ma riceve una doccia fredda, Martha è sospettosa e la studia, mentre con Mickey è amore.

Leggi:
1.1. L'incontro
1.2. Meraviglioso silenzio

CAPITOLO2 - L'unicum


La vita tranquilla si interrompe bruscamente, Agatha viene rapita e riportata nella sua vecchia prigione, dove comincia a ricordare cosa le è successo. Intanto Torchwood la cerca, le trova e finalmente scopre chi è, o meglio, cos'è.
E la spaccatura è come impazzita, l'attività è frenetica, la situazione un disastro. Riuscerinno Jack e compagni a far fronte alla situazion, salvare il mondo e magari anche Agatha? Ma poi sarà proprio un personaggio da salvare?

CAPITOLO3 - Vampiri e parassiti

Entra in scena il capitano Jhon Hart e sono scintille. Attratto nella Cardiff del XXI secolo da un manufatto di origine aliena di valore inestimabile, vedendo frustrate le sue aspettative, si butta su Jack. Per ripicca al solito rifiuto allora si dedica ad Agatha, che ricambia. Ma cosa succede quando un'alina fin troppo umana incontra un uomo che di umano non ha più nulla (o quasi).

CAPITOLO4 - Fiducia

Agatha comincia a vivere, ad andare a scuola e a lavoricchiare per Torchwood. Ha un ragazzo, che si professa innamorato, ma lei vuole che la ami per quello che è, che la acetti completamente e gli racconta tutto. E lui scappa. Ma la forza dei sentimenti scavalca la ragione e se anche il nostro cervello ci dice di allontanarci dai pericoli, ci sono situazioni in cui l'inconscio ci spinge verso l'ignoto, in cui l'amore ci fa affrontare sfide molto più pericolose di quelle da cui eravamo fuggiti.

E il capitano Jhon è ancora con noi...

CAPITOLO5 - Finale, tutto deve cambiare, perché non cambi nulla

"The 21st century is when everything changes..." e se fosse Agatha ciò per cui Torchwood non era pronto secondo Alex (capo di Jack fino al 1999, quando aveva sterminato la sua squadra, dopo aver visto cosa sarebbe successo nel XXI sec.)? Dal momento che nulla si crea e nulla si disrugge, dove finisce l'energia della Spaccatura che si immagazzina in lei?

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martedì 23 settembre 2008

Meraviglioso silenzio

1.2. Meraviglioso silenzio
Era in cucina, mentre stava preparando un caffè, quando entrò la ragazza.
- Buon giorno.
- Buongiorno, come ti devo chiamare?
- Non so. Questa notte hoprovato a farmi venire in mente qualcosa o qualche nome, ma le uniche cose che sono riuscita a ricordare sono state una stanza bianca e il nome Agatha. Non so se sia il mio, a dire il vero non credo, ma non riesco proprio a ricordae nient'altro. E mi piace.
- Agatha sia. Buongiorno, Agatha. - e sorridendo le porse una tazza di caffè caldo. Poi alzò lo sguardo e con il dito indicò un sacchetto di Mark&Spencer's appoggiato sulla poltrona di pelle.
Appena sveglio quella mattina era uscito per comprarle dei vestiti. In casa aveva ancora qualcosa di Lisa, ma non era ancora pronto a prestarli a nessuno, nonostante la ragazza gli piacesse. Una volta in città, però realizzò due cose, in primo luogo che era troppo presto, che i negozi avrebbero aperto di lì a un'ora e che se voleva fare qualche compera doveva arrivare tardi a lavoro, o meglio ancora non andarci affatto. Secondo, non sapeva che taglia prenderle, a occhio poteva essere una 12-14, ma l'aveva sempre vista infagottata su in qualche maniera, quindi non ne era affatto sicuro. Il primo problema lo risolse chiamando in ufficio e dicendo che non si sentiva molto bene, un raffreddore molto forte, per cui preferiva rimanere a letto e cercare di riprendersi. Quindi aspettò che aprisse il primo grande magazzino (Mark&Spencer's per l'appunto) e comprò l'essenziale perché potesse uscire di casa. Il resto del guardaroba lo avrebbe acquistato con lei presente.
Seguendo la direzione indicata dall'indice, lo sgurdo di Agatha si posò sul sacchetto. Appreso che il contenuto era destinato a lei si fiondò sul divano, lo prese, ci ficcò dentro la testa e tirò fuori tutto: un reggiseno con mutandine in coordinato, una gonna rossa e una maglietta nera. In un sacchetto più piccolo nascosto dietro il primo c'era poi una scatola con dentro un paio di scarpe, dei mocassini in pelle marrone con una spessa suola di gomma. Niente di che a essere sinceri, di questo Ianto ne era più che conspevole, soprattutto in quel momento, mentre stava li fissando buttati senza ordine né grazia sulla sua poltrona. Ma per Agatha la situazione era totalmente diversa, fissava i vestiti con occhi sgranati, tutto il suo corpo sembrava fremere per l'eccitazione, le mani tremavano, il respiro era ansimante, con evidenti movimenti del petto. Con un movimento brusco si sfilò i boxer e la maglietta, che aveva usato come pigiama, rimanendo in pochi secondi totalmente nuda. Con gli stessi movimenti a scatti, ma senza il minimo tentativo di nascondere almeno le parti più intime si vestì. Fissandola Ianto fu molto sollevato nel constatare che, sebbene il black-out le avesse probabilmente cancellato la parte di memoria in cui si trovava il senso del pudore, le abilità pratiche sembravano ben conservate. Ora era abbigliata come una donna e come una donna comincò a comportarsi. Quel modo di fare vagamente selvatico, sembrava più sotto controllo. Avanzò con passo tranquillo e si sedette al tavolo, davanti al suo caffè. Prima di comiciare a bere spostò l'altra sedia e fece segno a Ianto di accomodarsi. - Ora possiamo fare colazione. - disse sorridendo per la prima volta.
La giornata trascorse tranquilla. dopo la colazione, uscirono a fare un po' di shopping, lei lo costrinse a fermarsi a pranzare al Burger King. Alle tre del pomeriggio erano a casa, ma Ianto non aveva voglia di tornare al lavoro. Provava nei confronti della ragazzina una strana intimità, c'era feeling, gli piaceva molto. Erano due silenziosi e rispettando questa loro inclinazione stavano per lo più in silenzio. Non era però il silenzio imbarazzato, che gela l'atmosfera quando due persone smettono di parlarsi perché non sanno più cosa dirsi. Era quel silenzio pieno e avvolgente, che pregna di sé il tempo e la situazione, senza bisogno di essere riempito da parole inutili. Erano in soggiorno, lui seduto sulla poltrona, lei sul divano. La luce filtrava attraverso le tende, i raggi di sole spezzavano la continuità della penombra e si posavano sugli oggetti della stanza, disegandone le sagome come aureole dorate. Erano lì, nel silenzio, nella penombra, in pace. Nessuno parlava, perché entrambi sapevano che nel momento in cui uno dei due averebbe aperto bocca, quella pace si sarebbe dissolta e la realtà sarebbe stata dura da affrontare. Così non parlarono. Ognuno fece quello che doveva senza proferir parola. Aghata ordinò i nuovi vestiti nella stanza degli ospiti, si sedette sul letto e cominciò a immaginare la sua stanza, come quella cameretta impersonale si sarebbe trasformata nella sua stanza. Ianto uscì di nuovo, per comprare la cena e tornato a casa si mise a cucinare. Mangiarono un risotto alle erbette e pomodorini accompagnto da un vino bianco leggermente fruttato. Poi ascoltarono un po' di musica, del jazz, Keith Jarrett per l'esattezza.

Il meraviglioso silenzio finì, purtroppo, la sera seguente, non appena Ianto rincasò dal lavoro.
- Che cosa faccio? - gli chiese Agatha, fissandolo con gli occhi sgranati e la malinconia di chi ha la sensazione che la via gli scivoli via senza mai veramente toccarla. Aveva paura che le sue giornate si esaurissero nello stare segregata in casa a leggere e guardare la tv, ospite un uomo buono, di uno sconosciuto con la sua vita. Per fare qualcosa, qualsiasi cosa, doveva avere una vita, ma la sua era praticamente inaccessibile, sigillata in un angolo della sua mente che le era totalmente inacessibile, per ora e chissà per quanto altro tempo.
- Non lo so, finché non capiamo chi sei...
- Me ne sto nascosta qui, al sicuro dai cattivi, o dai buoni, nel caso mi fossi dimenticata di essere cattiva.
- Senti, dove lavoro ti possono aiutare, ma devo prima capire chi sei
- Non possono aiutarmi anche su questo punto?
- Sì, certo, ma non è detto che la tua identità gli piaccia e che continuino ad aiutarti.
- Cosa fai?
- Non posso parlartene.
- Sei nei servizi segrati? Dai, sono una ragazzina con un'amnesia retograda praticamente totale, che vivrà segregata nel tuo appartamento fino a che lo vorrai. Non sono una minaccia da nessun punto di vista.
- Non posso e basta.
- Va bene. Però fa qualcosa. Non sto bene.
Il silenzio che seguì questa conversazione, fu pieno di malinconia e preoccupazioni. Ianto sapeva di dover parlare di Agatha a Trochwood. Lo doveva fare per il bene di entrambi. Con l'aiuto della squadra sarebbero risaliti all'identità di Agatha in poco tempo o nella peggiore delle ipotesi ne avrebbero facilmente greata una nuova. Soprattutto non poteva tradirli di nuovo, dopo quello che era successo con Lisa, non poteva permettersi di nascondere niente alla base, nulla che avesse anche solo la minima rilevanza. Certo era situazione completamente diversa. Non amava Agatha come amava Lisa, Agatha difficilmente avrebbe potuto essere un pericolo concreto per l'incolumità generale. Eppure, i suoi sentimenti per lui erano intensi, non ne era attratto, ma sentiva il dovere di proteggerla. Era strana, molto strana. Il tatuaggio innanzittutto, ma non solo. Il fatto che l'avesse visto nonostante il filtro di percezione, il suo modo di fare, la velocità con cui cambiava, si "civilizzava". Una ragazza, che non si ricorda nulla se non le ultime due settimane, passate a vivere per strada come una barbona e che si spoglia senza il minimo imbarazzo davanti a un estraneo , improvvisamente si mette a parlare di "amnesia anterograda", come se fosse la cosa più normale del mondo.
- Dove hai sentito parlare di amnesia anterograda?
- Alla televisione. Ho visto un documentario sul paziente H. M. Hanno vagamente accennato anche agli altri tipi di amnesia, non solo quella aterogrda, e tra qusti c'era pure la mia. Hanno detto che in generale i deficit retrogradi si recuperano, magari solo in parte, ma non ci sono molto casi totalmente irreversibili. Sono più comuni nel caso di amnesie anterograde, per l'appunto determinate dalla perdita delle zone dell'encefalo deputate alla memoria a breve e medio termine, alla formazione dei ricordi. Quel poveretto è stato operato a 27 anni per curare un'epilessia insensibile ai farmaci. Dal momento che il focolaio epilettico era localizzato agli ippocampi dei due emisferi hanno eseguito una resezione bilaterale della parte mediale del lobo temporale. In quel momento la sua vita si è fermata, lui è rimasto quello che era, perché non è più stato in grado di ricordarsi alcun chè. E' terribile, è una delle cose più agghiaccianti che possano succedere a qualcuno. Non ricordarsi chi sei stato da un certo punto della tua vita in dietro è comunque meglio di non ricordarsi chi sei stato da un certo punto della tua vita in avanti.- Era esattamente quello che sembrava, si ricordava tutto, capiva in fretta e assorbiva qualsiasi nozione semplicemente venendone a contatto.
- Ok. Domani ne parlo con il mio capo. Ti porterò alla base e vedremo lì cosa fare.
- "Alla base", fa tanto thriller o fantascenza. Che base?
Ma Ianto non rispose. E l'indomani non parlò con Jack di Agatha, nemmeno il giorno seguente e quello dopo ancora. Il lavoro continuava a essere stranamente tranquillo. Non succedeva nulla, eppure riusciva sempre a trovare qualcosa da fare, qualcosa che lo tenesse lontano da Jack e poi arrivavano le 18.30, staccava e tornava a casa. Cominciava a capire perché voleva tenere nascosta Agatha, lei era la sua via di fuga. La via di fuga da Torchwood. Era la prima cosa, da quando era morta Lisa, ad avere un significato. Per la prima volta in due anni si stava occupando di qualcuno, non di qualcosa. Ed era egoista e possessivo. Se ne rese conto in quel momento. Si stava occupando di lei, nel senso che le aveva dato un tetto sopra la testa e tutte le sere le preparava la cena, ma non era questo quello che lei voleva. Sapeva benissimo quello che lei desiderava. Agatha voleva una vita. Lui l'aveva semplicemente messa in una prigione più accogliente di una stanza bianca piena di luce, più sicura di un ponte sotto cui ripararsi la notte. Forse era anche riuscito a offrirle un po' di calore e compagnia, probabilmente era per questo che non era ancora scappata, ma in un certo senso l'aveva tradita. Rifiutandosi di portarla a Torchwood, la condannava a non avere un'identità a non poter fare nulla, a non poter interagire con nessuno a parte lui. Non era giusto. Il giorno dopo l'avrebbe aiutata sul serio.
Arrivò a casa e si accorse di aver dimenticato le chiavi dell'appartamento. Suonò il campanello e in un attimo la porta si aprì. Agatha sorrideva, con la testa leggermente reclinata a sinistra e nello sguardo un misto di innocenza e dolcezza, mamma e bambina allo stesso tempo.
مساء الخير ونرحب -
- Cosa?
- Buona sera e benvenuto.
- In che lingua, scusa?
- Arabo.
- Perché?
كنت موقد. فتحت التلفزيون وكانت هناك قناة العربية. -
- Eh?
- Ero stufa. Ho acceso la televisione e c'era un canale arabo.
- Hai imparato l'arabo in 5 minuti?
- No, non sono un alieno. In un pomeriggio.
Non è normale, penò Ianto. Se ci fosse stato ancora bisogno di una conferma sulla necessità di portarla alla base, era questa, non poteva più tergiversare, c'era qualcosa di molto strano in lei.
- Non sono andato a fare la spesa. Pensavo di ordinare la pizza. Ti va?
- Certo. Scegli tu i gusti. Io vado a vedere la tv.
- Cosa stai guardando?
- Sempre l'emittente araba. Un telefilm italiano che parla di questa specie di poliziotti, che vivono in una caserma in un paesino molto grazioso. La protagonista è una bellona con le tette grosse e lo sguardo poco espressivo. Non capisco se è una paroia o è solo molto brutto. Si chiama "Carabinieri".
Ianto sorrise, sempre più stupefatto. Prese il telefono e mentre si toglieva il cappotto chiamò il take-away per ordinare una pizza grande, metà peperoni e salame piccante, metà prosciutto e funghi. Il fattorino sarebbe arrivato in un quarto d'ora, andò in camera a togliersi il vestito e farsi una doccia.
La porta suonò, Ianto era ancora in camera, doveva essere appena uscito dalla doccia, perché il rumore dell'acqua era finito da poco.
- Vado io. - disse Agatha, alzando la voce, ma non urlando. Non aveva urlato, perché Ianto non urlava mai. Era così diverso dalle persone che vedeva in tv, loro urlavano, piangevano, gioivano e si disperavano in modo sguaiato, quasi invadente, ma lui no. Lui era altero, composto, pacato, silenzioso. Le piaceva molto. Così come le piaceva molto la tv. Era l'unica cosa che le permetteva di non impazzire, tutto il giorno da sola a casa. Aveva provato a leggere. C'erano parecchi libri in casa, per lo più romanzi, ma non era la stessa cosa. Vedere degli esseri umani agitarsi in una scatola era diverso che immaginarseli mentre si struggevano per pene d'amore o dilemmi morali. Non erano reali né gli uni né gli altri. I primi le sembravano più veri perché le erano più estranei, lei non contribuiva minimamente alla loro creazione. I personaggi di cui aveva letto avevano la fattezze che lei gli aveva attribuito, questi no, avevano le loro fattezze, o al massimo quelle che truccatori e sceneggiatori gli avevano attribuito. Ad ogni modo lei non centrava. E questo glieli facevca sembrare più reali. Una finestra sul mondo.
Aprì la porta e senza neanche guardare domandò al ragazzo quanto gli doveva per le pizze.
- Niente, solo dirmi chi sei e invitarmi a cena.
Alzò lo sguardo e vide un bell'uomo. Alto, biondo, occhi azzurri. Indossava una camicia, azzurra anch'essa, e un paio di pantaloni grigi, tenuti su dalle brettelle. Sulle spalle aveva un cappotto lungo in stile militare, anzi a guardarlo attentamente sembrava un cappotto militare originale. Aveva nello sguardo un che di strafottente, eppure non riusciva a nascndere una certa sorpresa. Quell'uomo si era tovato di fronte qualcuno di inaspettato, qulcuno che aveva gli suscitava un certo disappunto.

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L'incontro

Era un periodo tranquillo, molto tranquillo. Da un paio di settimane Ianto Johns rincasava tutte le sere alle sette, come un normale impiegato. Anche quella sera alle sette stava uscendo dalla base di Torchwood e dalla Roald Dahl Plass si incamminava verso il suo appartamento.
Il tempo quel martedì sera rispecchiava perfettamente il suo stato d'animo. Pioveva, quelle piogge insistenti ed intense che durano tutto il giorno. Era pensieroso. Pensava che di lì a venti minuti sarebbe arrivato nel suo appartamento, ma non a casa. Era un piccolo trilocale, ordinato, funzionale e confortevole. Ma non era accogliente, non era casa sua. La sua casa era la Base di Torchwwod, dove di solito passava i suoi giorni e molte delle sue notti, dove c'era la squadra, dove c'era Jack. Quando aveva perso Lisa durante l'attacco dei Cybermen a Torchwood Londra, si era chiuso in sé stesso, aveva evitato i rapporti con gli altri esseri umani che non fossero strettamente necessari, restava nell'ombra. Una sagoma efficiente e silenziosa, un perfetto maggiordomo. Ma senza accorgersene le cose erano cambiate. Per non affezionarsi alle persone, aveva pian piano sviluppato un attaccamento quasi genitoriale alla Base, una devozione all'organizzazione, che alla fine si era sorprendentemente riflessa in un sincero attaccamento ai suoi membri. Senza accorgersene si era affezionato ai nuovi colleghi molto più di quanto non si fosse affezionato ai primi. La sua storia con Jack? Jack era Torchwood. Lui amava Jack, lui amava Torchwood. Amore... ma era poi amore quello che provava per Jack. Non ne era molto sicuro. Di certo era qualcosa di totalmente diverso dal ciò che aveva provato per Lisa.
Il semaforo era rosso. Guardando fuori dal finestrino del'auto nera vide un bell'alimentare e gli venne un mente che erano anni che non cucinava. Quando stava con Lisa era sempre lui a preparare la cena, era un cuoco estroso e raffinato. Sapeva scegliere gli ingredienti giusti, sapeva mettere in piedi una cena dal nulla. Parcheggiò la macchina e scese a far la spesa. Girava piano tra gli scaffali pensando al menù, quando una bottiglia di Nuragus bianco attirò la sua attenzione. La prese e decise che sarebbe stata accompagnata da un piatto di spaghetti con la bottarga, semplici e saporiti.
Fuori continuava a diluviare, si diresse a passo spedito verso la macchina a testa china, per evitare di bagnarsi il viso, aprì le portiere con il comando a distanza, allungò la mano, ma invece del freddo metallo toccò una persona. Alzato lo sguardo vide una ragazza. Aveva un aspetto totalmente indifeso. Tremava, per il freddo e la paura che le era stampata nei grandi occhi nocciola spalancati. Il corpo tozzo era avvolto in un impermeabile maschile inzuppato d'acqua e troppo lungo, che le arrivava fino alle caviglie. Il viso era incorniciato da capelli scuri che le arrivavano alle spalle. I lineamenti erano armoniosi, nonostante l'espressione impaurita.
- Fammi salire in macchina. Portami a casa tua. - disse la ragazza con un tono sorprendentemente fermo e prima che Ianto potesse sollevare alcuna obiezione si scoprì in modo molto risoluto il polso destro, mostrando un tatuaggio circolare, con all'interno uno strano simbolo, che Ianto non aveva mai visto.
- E allora? - nel pronunciare quelle parole il tatuaggio cominciò a brillare e a cambiare colore. La cosa era strana e la ragazza lo impietosiva, quindi acconsentì. La fece salire in macchina e se la portò a casa.

Ianto era in cucina, appoggiato con la schiena al piano da lavoro. L'acqua nella pentola bolliva e riusciva a sentire in sottofondo il ticchettio regolare del timer, secondo dopo secondo la rotellina si muoveva impercettibilmente scandendo in modo cadenzato lo scorrere dei sette minuti e mezzo necessari per la cottura degli spaghetti. L'aroma della bottarga si era diffuso in tutta la stanza. Aspettava e intanto guardava fisso davanti a sé. Il tavolo apparecchiato per due persone. Era la prima volta da quando aveva messo piede in quell'appartamento. In realtà poteva contare sulle dita delle mani le volte in cui quel tavolo era stato apparecchiato nei due anni in cui aveva vissuto a Cardiff.
Annunciata dallo sciabattare delle pantofole troppo grandi che le aveva prestato, la ragazza entrò in cucina. Aveva un incedere lento, quasi timido, che la rendeva molto tenera. La doccia calda le aveva ridato un po' di colore in viso, che ora appariva molto bello. Le labbra accennavano un sorriso che stentava pudicamente a manifestarsi, gli occhi tradivano l'imbarazzo e il disagio tipico di chi si trova in un posto che non gli è familiare e in cui non vorrebbe essere, ma da cui non può andarsene. Accennò una piccola riverenza, piegò le ginocchia e allargò leggermente le braccia, stringendo delicatamente tra le mani gli angoli dei boxer. Era buffa. Nulla di quello che indossava era della sua taglia, né tantomeno da donna. Un paio di boxer al posto dei pantaloncini e una maglietta stinta, che le arrivava a metà coscia e abbondava sulle spalle e in vita, fasciandola però a livello dei seni abbondanti e dei fianchi un po' troppo laghi.
- Hai bisogno di vestiti.
- Non si preoccupi.
- Domani hai intenzione di uscire con le mie mutande?

Il silenzio imbarazzato che si era creato fu interrotto dal timer che cominciò a suonare. Si misero a cenare in silenzio. Si fissavano, Ianto le versava il vino ogni volta che il bicchiere rimaneva vuoto, lei mangiava avidamente e osservava ogni sua mossa, ogni sua espressione. Fu lei la prima a rompere il silenzio con un grazie secco e sincero a cui seguirono le domande di Ianto, chi sei? Quanti anni hai? Cosa ci facevi in mezzo alla strada, da sola e seminuda (sotto l'impermeabile non indossava nemmeno la biancheria intima)? Perché sei venuta da me? Era quasi stordita da quell'interessamento, da quella curiosità nei suoi confronti. Lo guardava, mentre gli poneva in modo tranquillo e garbato quelle semplici e ovvie domande. Una dopo l'altra, interrotte da brevi pause che sembravano durare un'eternità. Improvvisamente mille pensieri le affollavano la testa, era la prima volta in quelle due settimane, le uniche di cui avesse memoria, in cui si fermava a pensare a qualcosa di diverso che non fosse ripararsi dal freddo e placare i morsi della fame. Non si era quasi accorta di non ricordarsi nulla, né chi era, né dove aveva vissuto prima di ritrovarsi in mezzo a una strada, coperta solo da un impermeabile e un paio di stivali. Le uniche cose che sapeva erano che il tatuaggio che gli aveva mostrato la spaventava a morte e probabilmente era il motivo per cui era stata abbandonata. In quelle due settimane si era illuminato spesso e tutte le volte che questo accadeva si sentiva strana, non sapeva definire meglio quello che provava, semplicemente era perfettamente in grado di dire se il tatuaggio era "acceso" o "spento" senza alcun bisogno di guardarlo. Si era anche accorta che negli ultimi giorni si illuminava più spesso quando era agitata o spaventata, proprio come era successo quando l'aveva incontrato. Non l'aveva scelto a casa, era da tre giorni che lo stava osservando. Si era accorta che compariva nel centro della piazza, tutte le sere alle sette. Non capiva da dove uscisse, semplicemente un secondo prima non c'era nulla e il secondo dopo c'era lui. La sera prima, non l'aveva bloccato perché in compagnia di una donna mora. Questo era tutto quello che sapeva della sua vita e glielo disse.
Ianto la ascoltò in silenzio, quando finì si alzò, prese i piatti e mentre cominciava a riassettare, dandole le spalle disse: - Devi avere un nome, pensaci. Per il resto vedremo domani. Ora va a letto. Ho appoggiato delle lenzuola sul letto nella stanza a destra del bagno.

Il "resto" non era poca roba. Doveva capire chi era, perché la situazione era molto insolita, così come la calma alla base era inquietantemente sospetta. Aveva letto che in alcune persone che soffrono di emicrania gli attacchi sono annunciati da momenti di assoluto benessere, in quelle due settimane si era respirata un'atmosfera da "quiete prima della tempesta" e questa strana ragazza poteva essere l'annuncio della catastrofe. Doveva informare la squadra della sua esistenza, ma non ne aveva voglia, per qualche motivo a lui stesso sconosciuto, voleva tenere per sé quella piccola scoperta, soprattutto se, come in fondo sperava, si fosse trattato di una ragazzina del tutto normale.
Questi erano i pensieri con cui Ianto si era addormentato e con cui si svegliò l'indomani.

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